
La sentenza in esame si caratterizza per la rilevanza riconosciuta alla c.d. “violenza economica” sull’affidamento dei figli, in quanto sintomo di incapacità genitoriale.
L’affido condiviso, introdotto dalla l. 54/2006, comporta l’esercizio congiunto della potestà genitoriale da parte di entrambi i genitori, tanto nelle questioni di ordinario interesse, che di straordinaria amministrazione. L’affidamento condiviso presuppone, quindi, che entrambi i genitori partecipino attivamente e continuativamente alla vita dei figli, concordando un piano educativo comune.
Esso si ispira al principio della bigenitorialita’ ovvero all’assunzione della responsabilità genitoriale da parte sia della madre che del padre, e, ad oggi, rappresenta la regola. Le eccezioni possono essere disposte dal giudice solo laddove ritenga che per particolari circostanze, l’affido condiviso possa pregiudicare e/o compromettere la serena crescita dei figli.
Nel corso degli anni, la Corte di Cassazione ha individuato una serie di casistiche sulla cui base potesse essere disposto un affido esclusivo, quale, ad esempio, la violazione del dovere di mantenimento dei figli.
La Suprema Corte, già con la sentenza n. 26587 del 17 dicembre 2009 ha stabilito come principio di diritto che “Perché possa derogarsi alla regola dell’affidamento condiviso, occorre quindi che risulti, nei confronti di uno dei genitori, una sua condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o comunque tale appunto da rendere quell’affidamento in concreto pregiudizievole per il minore, con la conseguenza che l’esclusione della modalità dell’affidamento esclusivo dovrà risultare sorretta da una motivazione non più’ solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa del genitore che in tal modo si escluda dal pari esercizio della potestà’ genitoriale e sulla non rispondenza, quindi, all’interesse del figlio dell’adozione, nel caso concreto, del modello legale prioritario di affidamento”.
La pronuncia in esame del Tribunale di Roma compie un passo ulteriore qualificando la mancata corresponsione degli alimenti non solo come indice di scarso interesse del genitore alle esigenze di vita dei figli e quindi in una mancanza di responsabilità e maturità tale da giustificare la perdita dell’affidamento, bensì la definisce quale forma di violenza.
Il Tribunale di Roma con sentenza n. 22638 del 25 novembre 2019 ha stabilito che la condotta del padre, che a lungo ha omesso di versare il mantenimento per il figlio, possa essere qualificata come “violenza economica”.
L’espressione “violenza economica” viene mutuata dal concetto più generico di “violenza domestica” inserito nella convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza domestica sottoscritta a Istanbul e ratificata dall’Italia con l. 77/2013. La violenza domestica viene ivi identificata come una serie di atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano nelle famiglie o nel nucleo familiare tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di questi atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.
Nel caso di specie, dopo la burrascosa separazione, l’uomo tronca i rapporti con l’ex moglie non solo interrompendo ogni comunicazione ma anche non erogando per lungo tempo il contributo per il mantenimento del figlio, neanche in misura ridotta. L’ex moglie iscrive allora ipoteca sull’unico immobile di proprietà del marito il quale, tuttavia, lo cede ai genitori sostenendo di non poter pagare le rate del mutuo, pur non fornendo prova alcuna in merito a tale circostanza. Nel frattempo, l’uomo viene, altresì, condannato in sede penale, in primo grado, per inottemperanza agli obblighi di assistenza familiare.
Pertanto, secondo il Tribunale, non può essere disposto l’affido condiviso del figlio dopo il divorzio.
La mamma potrà dunque assumere da sola tutte le decisioni più importanti per il minore stante l’inidoneità genitoriale del padre non avendo questo erogato per lunghi periodi alcun contributo per il mantenimento del figlio. L’immotivato e ingiustificato rifiuto a comunicare con l’altro genitore ed il mancato versamento del contributo rendono impossibile la gestione della genitorialità condivisa e giustificano la pronuncia del Tribunale.